I manifesti della prima edizione italiana di Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, furono disegnati da Anselmo Ballester (1897-1974), uno dei più importanti pittori e cartellonisti del cinema italiano, attivo dal 1914, che lavorò per società quali la Cines, Titanus, Minerva, Tirrenia, Nazionalcine, Paramount, 20th Century Fox e molte altre.
Nel manifesto (a), Ballester condensò uno dei momenti cruciali del film, mostrando Aldo Fabrizi/don Pietro che sorregge Anna Magnani/Pina, ormai cadavere e quindi avvolta in una penombra dai cromatismi terrei, mentre il volto del sacerdote è illuminato da una luce di giustizia e fede e si contrappone alla massa scura e anonima dell'occupante nazista. Quest'ultimo è privato di connotati umani: è una divisa, con un elmetto, su cui spicca il simbolo delle SS e un mitra spianato. Da notare che in questo caso, riflettendo il diverso peso contrattuale degli attori, il nome di Fabrizi è in maggiore evidenza e sopra il titolo rispetto a quello della Magnani. Gli altri due manifesti erano dominati dai volti dei due protagonisti, entrambi con un'evidente simbologia religiosa. In quello incentrato sul volto della Magnani, dietro la donna, oltre alla cupola di San Pietro, si staglia una corona di spine insanguinate, a evocare il suo martirio, mentre nel manifesto dove campeggia Fabrizi appare addirittura la mano (di Cristo? O di un ladrone?) trafitta dal chiodo sulla croce.
Da notare l'assenza di qualsiasi allusione al fascismo e, quindi, l'assoluta predominanza del motivo religioso. In un manifesto relativo alla prima riedizione, il nome della Magnani ha guadagnato la posizione sopra il titolo accanto a quello di Fabrizi e sono i loro volti a fronteggiare il Male, rappresentato ancora dalla massa scura del soldato nazista, divenuta più indistinta e senza quei dettagli che aveva nel manifesto precedente.
In una riedizione del 1973, successiva alla morte della Magnani, è soltanto il suo volto a dominare il manifesto. Ma non si tratta più di un disegno, bensì di una fotografia dei primi anni '70. In omaggio all'attrice scomparsa il film è diventato “il capolavoro di Anna Magnani”.
Evidentemente il disegno dove Ballester aveva ritratto il volto della Magnani piacque molto ai distributori stranieri del film: lo ritroviamo infatti in un manifesto francese (completo della corona di spine) e, rielaborato, in un manifesto tedesco. In un altro manifesto francese è curiosamente scomparsa Anna Magnani/Pina e assume evidenza esclusivamente il viso di Giovanna Galletti, ossia la perfida Ingrid, assimilata alla sinistra tela di ragno che soffoca sia Manfredi (Marcello Pagliero, di origine transalpina, aveva una certa notorietà in Francia, dove interpretò film di Delannoy, Allégret e altri), sia don Pietro. Un terzo manifesto francese contrappone invece Pina, seguita dal figlio, all'occupante in un disegno dai tratti stilizzati.
È poi significativo il manifesto tedesco di una riedizione dove appare solo San Pietro, illuminata dai bagliori dei bombardamenti e, fra i nomi, viene evidenziato quello di Federico Fellini, nel frattempo divenuto famoso, che soppianta Sergio Amidei e compare quindi come unico sceneggiatore del film. Lo stesso accade in un manifesto spagnolo dove campeggia solo il volto della Magnani, sotto le silhouette di San Pietro.
Nel manifesto tedesco di una riedizione, al disegno sono subentrate le fotografie che mostrano, oltre ai volti dei due protagonisti, anche l'inquadratura finale dei bambini che si allontanano affranti con Roma sullo sfondo. Il manifesto danese ricorre alla stilizzazione e assegna il ruolo principale all'anonimo soldato nazista, in piedi e di spalle, mentre l'episodio di Pina (raffigurata insolitamente con le gambe nude) che si ribella ai nazisti poco prima di essere uccisa e il volto da martire di don Pietro sono collocati in basso, schiacciati dalla feroce prepotenza dell'occupante.
Di pessimo gusto il manifesto statunitense che incredibilmente e truffaldinamente 'punta' su un'inesistente materia pruriginosa, nello 'strillo' (“Plain sexiness”) e nell'immagine di Maria Michi/Marina, a cosce scoperte, mentre è assente non solo la menzione del nome del regista ma anche i nomi e i volti dei protagonisti (tranne Marcello Pagliero). Se nel manifesto svedese i volti dolenti di Fabrizi e della Magnani sono immersi in un rossore di fiamma e sovrastati dal celebre fotogramma di Pina che tenta di ribellarsi ai tedeschi, in quello polacco troneggia San Pietro, che incombe su un drappello di soldati tedeschi su un camion, sopra una grande pozza di sangue.
Nel manifesto sovietico all'immagine del prete e della donna, subentra (e non poteva essere diversamente) quella del volto di Manfredi, il partigiano 'comunista', assurto ad unico eroe del film. Infine da notare la diversità dei due manifesti argentini: nel primo l'umana bonarietà di don Pietro e l'onestà popolare di Pina sono minacciati dalla presenza del filo spinato che lega l'uno all'altro i destini (con, miniaturizzato in basso, l'immagine-simbolo della donna in rivolta contro i nazisti). Nel secondo manifesto, invece, campeggia solo la maschera ammonitrice della Magnani (quasi irriconoscibile) con il titolo-monito “Venganza” (vendetta).
Roberto Chiesi
* Articolo apparso su Diari di Cineclub n. 102 | Febbraio 2022
I manifesti di Roma città aperta
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