La guerra secondo Kubrick
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in Tesi
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Facoltà di Lettere
INTRODUZIONE
Stanley Kubrick nasce a New York, nel Bronx, il 26 luglio 1928, da una famiglia ebrea, di origine austriaca. Poco propenso allo studio, il giovane Kubrick rivolge tutti i suoi interessi alla fotografia, agli scacchi e alla musica jazz. All’età di tredici anni riceve in dono dal padre una macchina fotografica, che gli permette di sviluppare la sua più grande passione di quel periodo: la fotografia. Nel 1945 ritrae un venditore di giornali affranto per la morte del presidente Roosevelt; la rivista «Look» acquista la fotografia per 25 dollari e poco dopo assume Kubrick come fotografo. Durante l’adolescenza il futuro regista si appassiona al cinema e alla letteratura, le sue passioni spaziano dai film di Ophüls, Bergman e Kazan alle letture dei classici della teoria cinematografica, in particolar modo Ejsenštejn e Pudovkin.
L’esperienza nel campo della fotografia è stata fondamentale per lo sviluppo del cineasta newyorkese; John Baxter, il suo biografo europeo, afferma infatti che «studiare fotografia fu indubbiamente la chiave di svolta nell’arte di Stanley Kubrick»1. A tal proposito appare interessante anche un’altra affermazione dello stesso Baxter: «In qualche modo Kubrick è stato sempre un fotografo ed è rimasto un fotografo. Secondo me ciò che lo affascinava non era tanto la continuità della narrazione ma la dignità dell’immagine, nelle esatte dimensioni in cui l’aveva visualizzata. Amava sopra ogni altra cosa la composizione dell’immagine»2.
Durante i suoi anni da fotografo per «Look», Kubrick condivide il suo amore per il cinema con l’amico Alexander Singer, fattorino per il giornale di attualità cinematografiche «March of Time»; insieme i due danno vita ad alcuni esperimenti in ambito cinematografico, ed è così che Kubrick, dopo aver lasciato il lavoro, decide di girare cortometraggi. Nel 1951 realizza, autofinanziandosi, Day of the fight, un documentario su una giornata del pugile Walter Cartier, seguito da Flying Padre (1952), dove un prete percorre in aereo la sua enorme parrocchia e The Seafarers (1952), incentrato sulle vicende di un sindacato di marinai. Nel 1953 Kubrick gira il suo primo lungometraggio, Fear and desire, dove si avvicina per la prima volta al tema della guerra. Da quel momento girerà soltanto tredici film (molti dei quali sono divenuti pietre miliari della storia del cinema), fino al giorno della sua morte avvenuta il 7 marzo 1999, durante la post-produzione della sua ultima pellicola, Eyes wide shut (1999). Il tema sul quale verte questo scritto è quello della guerra, vista dagli occhi di Stanley Kubrick, uno dei registi più influenti ed amati di sempre, il quale più volte ha affrontato questo tema nella sua immensa (a livello qualitativo) filmografia, indagando sui risvolti della personalità dell’essere umano, sull’inutilità della guerra e della violenza.
Quello bellico è il genere portante di buona parte della filmografia di Kubrick; oltre al già citato Fear and desire, dove il regista indaga sulla «crudeltà (auto)distruttrice degli uomini»3 in una guerra astratta, questo tema si sviluppa in altri tre capitoli fondamentali della produzione kubrickiana: Orizzonti di gloria (1957), manifesto antimilitarista ambientato durante la Grande Guerra, Il Dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la
bomba (1964), feroce satira sulla guerra fredda, e Full Metal Jacket (1987), in cui il conflitto del Vietnam è lo sfondo sul quale rappresentare la distruzione e la conseguente “meccanizzazione” della personalità umana. Ma la guerra, la violenza, il dualismo dell’uomo e la distruzione della personalità, sono tutti temi che trovano riscontro in molte altre pellicole di Kubrick, in film come Il bacio dell’assassino (1955), Rapina a mano armata (1956), Spartacus (1960), Lolita (1962), 2001 Odissea nello spazio (1968), Arancia Meccanica (1971), Barry Lyndon (1975), Shining (1980), Eyes Wide Shut (1999) e nei suoi progetti incompiuti, tra cui Napoleon, The German Liutenant (sulla Seconda Guerra Mondiale) e Aryan Papers (sull’Olocausto), dei quali parleremo in seguito.
Secondo Enrico Ghezzi: «appare chiaro che (per quanto casuale possa essere stata la scelta del soggetto) nello spazio del cinema americano “il genere” di Kubrick è, per elezione, il film bellico, scelto proprio in quanto esaspera i caratteri fondanti di qualsiasi genere»4. Lo stesso regista, in un’intervista del 19595, spiega i motivi per cui è stimolato a realizzare film sulla guerra: «Per cominciare, uno degli elementi che attraggono in una storia di crimini di guerra è l'opportunità quasi unica di mettere un individuo della società contemporanea di fronte ad una solida cornice di valori accettati, di cui il pubblico prende piena coscienza e che fa da contrappunto ad una situazione umana, individuale, legata all'emotività. Inoltre, la guerra è come una serra in cui far crescere velocemente e forzatamente attitudini e sentimenti. Le attitudini si cristallizzano e affiorano in superficie. Il contrasto in questo scenario è un fatto naturale, mentre in una situazione meno critica dovrebbe essere costruito ad arte e apparirebbe quindi forzato, o peggio falso.» Kubrick ribadisce il suo fascino per questo tema in un’altra intervista, rilasciata dieci anni più tardi, dove dichiara: «Evidentemente la guerra crea situazioni altamente drammatiche e traducibili in immagini per una sceneggiatura. In una battaglia le persone attraversano un fantastico periodo di tensione in un breve lasso di tempo e ciò, in una storia vissuta in tempo di pace, parrebbe veramente artificioso e forzato in quanto tutto scorrerebbe troppo rapidamente per risultare credibile. Il film di guerra permette dunque di descrivere con straordinaria concisione l’evoluzione di un atteggiamento, di un personaggio. Così i problemi arrivano a una soluzione più rapidamente»
Prima di addentrarci nell’analisi di questo tema nelle varie opere di Stanley Kubrick, è doveroso inserire il suo lavoro all’interno del contesto più ampio del cinema di guerra americano, un genere cinematografico che vanta una quantità innumerevole di titoli, dai primi anni del secolo scorso sino ai giorni nostri.