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Cinema e Utopia: l'isola che c'è.
Quell'insopprimibile bisogno di libertà.
di Angelo Tantaro

tratto da "Lo sguardo liberato" Fedic 1949-1999
itinerari di una federazione di cinema indipendente
a cura di Roberto Chiesi
Edizioni Manent 1999

Nel libro delle Utopie troviamo l'abbazia di Telème inventata da Rabelais, la cui regola era il "faremo come ci pare", deliziosa fantasia utopica. Nel cinema che stiamo per trattare la regola è la stessa.

Noi siamo Autori del cinema non professionale, artigiani del cinema "straccione", impiegati/operai/studenti/disoccupati e insieme fotografi, registi, attori, tecnici che insieme cercano la strada verso l'Utopia: è nel luogo che non c'è che si trova quanto ci manca.

Non soffriamo inferiorità perché produciamo opere a basso costo. Sovente, nelle nostre opere, protagonista, regista, produttore e proiezionista coincidono con la stessa persona. Questa è la grandezza dello sforzo più disinteressato e appassionato. Siamo coscienti che la ristrettezza dei mezzi non è un criterio per giudicare un'opera. ("Superare ogni ostacolo a colpi di creatività" O.Welles). I nostri film costano quanto un profumo di Versace, gli interpreti sono presi tra gli amici, nella strada o in incontri occasionali.

Il nostro cinema crea opere dignitose che rispecchiano lo spirito di denuncia e di utopia capaci di diffondere nell'orizzonte dell'arte, il proprio stile, lontano dal coro del cinema utilitaristico e sguaiato.

Rifiutiamo la logica dei premi, i premi non costituiscono il criterio ideale per giudicare l'opera di un artista, ("La competizione non favorisce la creatività" F. Truffaut) lo star system, il patrocinio dell'autorità costituita, la devianza protetta.

Il nostro cinema, povero, straccione, è un peschereccio a conduzione familiare che naviga per conto proprio incurante della rotta della portaerei del cinema commerciale. Questa la sfida. Non sogniamo di passare sulla portaerei. Il cinema indipendente regala all'autore il massimo della libertà: essere se stessi. Ci permette di navigare fuori dai percorsi autorizzati. Le storie espresse contengono immagini capaci di dare voce a esistenze diverse e lacerate. Servono a dare espressione alla marginalità, alla differenza.

Il cinema "straccione" fa della sperimentazione un elemento cardine della propria esistenza, un assieme di convincimenti di carattere generale che pretendono di essere verificabili e criticati razionalmente. Il luogo deputato è proprio il cineclub.

Il nostro cinema artigianale come percorso alternativo che si svolge lontano dalle catene di montaggio del cinema commerciale che continua a sfornare inutili copie di una cosa sempre uguale che andranno a finire, ce lo auguriamo, nelle discariche della nostra civiltà. Anche nelle nostre platee, troppo spesso, si parla molto di filmetti o cortometraggi con lodevoli intenzioni ma, nella sostanza, sono discutibili e spesso con inconsistenti soluzioni creative. Non possono venire letti al di là dalla "pregevole fattura" (e chi se ne frega!) e, molte volte, non vanno oltre il ruvido fatto di cronaca o la trovata finale o la denuncia che dovrebbe nobilitarne l'opera. Noi riteniamo che sia meglio far circolare le idee ma, detto questo, siamo comunque convinti che è sempre meglio "fare" che rammaricarsi per "non aver fatto".

Noi ci consideriamo artisti. "Il film è arte. Il cinema un'industria" (Luigi Chiarini). Non siamo una corporazione con interessi da difendere. Prima di tutto la sincerità.

Il cinema autoprodotto è al di fuori degli schemi che il Capitale (produttore) cerca di imporre. ("La produzione controlla il consumo e la distribuzione. Lo schermo vende la voce del padrone" J.L.Godard) ha la sua grande forza in quella di riuscire a prodursi, di non essere costretto a mercificare il proprio bisogno di esprimersi. Non si è costretti a parlare-convincere altri oltre che i propri collaboratori. Questo è il lato più affascinante: in piena rivoluzione industriale e consumistica si può creare liberamente senza le costrizioni del capitale.

L'autoproduzione parte dalla critica della merce.Per questa sua natura contraria al mercato è destinata a restare sotterranea. L'autoproduzione risponde a un'urgenza comunicativa, nasce da chi vuole dire senza pensare al mercato. Per mercato ci riferiamo anche a quel micromercato che, di fatto, sono i Concorsi con l'assegnazione dei premi.

La produzione indipendente è espressione pura dell'ingegno dell'artista che in assoluta libertà, sentendo il bisogno di esprimersi lo fa senza nessun vincolo. Non è in ogni modo il cinema del dopolavoro, non è cinema dell'amatore per hobby e non è neanche il "cinema dei figli di papà" ovvero, il papà che, avendone le possibilità, invece di regalare l'automobile al figlio, gli regala la possibilità del primo film.

Il nostro è un cinema libero e in quanto tale è rivoluzionario e mette in discussione tutti gli strumenti tradizionali e le tecniche impiegate. Lo spettatore deve applicarsi e predisporsi con animo nuovo alla visione di tali opere. Scoprirà un nuovo modo di vedere il cinema e il mondo stesso.

Nuovi artisti, diversi e vivacissimi si affacciano nel nostro mondo proponendo un mare di storie e immagini sorprendenti, provano a mescolare la tecnologia e i suoi strumenti, provano altre contaminazioni, non rifiutano il rapporto con il passato. Sono passati dal divertimento iniziale all'impegno, dalla noncuranza alla passione, senza pensare al cinema come professione ma come mezzo per esprimere, per fare "comunione" con gli altri. Non pensano ai concorsi e ai suoi premi ma chiedono solo dove essere visibili. L'ambizione mangia l'anima e corrode l'arte. E' la parte migliore delle nuove leve.

Benvenuti Autori,
ovunque voi siate, comunque la pensiate. Crediamo nella libertà d'immagine e nella ricchezza della diversità. Lunga vita a chiunque voglia prendere una macchina da presa per raccontare la propria sincerità, contribuendo a rendere più matura, ricca, affascinate e varia la nostra realtà.

I nostri grandi "maggiori"
Orson Welles, ragazzo prodigio, genio rivoluzionario che spara in faccia ai benpensanti la provocazione di Quarto potere, Truffaut disse: "Questo film provocò il maggior numero di vocazioni alla regia". Intellettuale strafottente, non accetta imposizioni, stravolge le strutture narrative, tutte cose che all'industria non interessano. "Lavorare per gli altri è altrettanto volgare che lavorare per i soldi".

Andrej Tarkovskij, un cinema lento, aspro e desolato, privo di speranza, intriso di misticismo, estatiche pause dinanzi alla natura indifferente, tormenti individuali dissimulati dal pudore, entusiasmi, sorprese. Il cinema come mezzo attraverso cui ritrovare le radici della vita. Linguaggio sospeso con il ricorrere insistito dei simboli: l'acqua, il gocciolio, la vegetazione contorta, il fuoco. Fervore stilistico altissimo. Grande impegno morale.

Jean Vigò, autore romantico di grande critica alla società capitalista manifestata nella rivolta anarchica e disperata espressa prima con le immagini di Zero in condotta e poi con l'Atalante, la storia della chiatta errante, simbolo dell'emarginazione ma non della pacificazione che trasforma il riflusso rivoluzionario in disagio esistenziale, rabbia controllata di chi vive ai margini con la consapevolezza di un fallimento pratico ma non di uno sbaglio teorico.

Dziga Vertov, il cinema è uno strumento che il proletariato deve apprendere ed usare come arma, convinto che ciò può avvenire tramite il rinnovamento della sua tecnica e la lotta contro i retaggi della cinematografica borghese. Accusato dallo Stato comunista russo di confezionare opere sperimentali e poco accessibili non fu sostenuto. Pensò di istituire una vasta rete di corrispondenti locali con l'obiettivo di concretizzare l'ipotesi di un cinema autogestito e direttamente fruibile dai suoi produttori. Cinema di intervento ma anche di ricerca.

Robert Flaherty, uno dei maggiori documentaristi della storia del cinema, poeta del mondo, nemico del commercialismo, fece della sua macchina da presa l'occhio registratore di una verità che vive al di là del calcolo e dell'interesse cogliendo il valore e il senso della vita.

Robert Bresson, "Produrre l'emozione ottenendola attraverso una resistenza all'emozione", " Si crea non aggiungendo, ma levando", autore di un rigore morale e formale straordinario, che non ha mai concesso nulla né alle esigenze del cinema spettacolare né allo spettatore.

Carl Theodor Dreyer, e il fascino del suo cinema "Dobbiamo servirci della macchina da presa per sopprimerla." La purezza, la semplicità, l'astrazione che sono state interpretate come segni dell'anima del regista danese sono in realtà categorie di forma perseguite attraverso un rigidissimo controllo sui minimi elementi della costruzione cinematografica (compostezza delle inquadrature e lentezza del ritmo) come piena consapevolezza della distanza che separa la vita dal cinema prodotto dall'uomo, non tanto come rappresentazione quanto di interpretazione del reale.

Alexander Kluge, recupero e valorizzazione delle facoltà non logiche, fantastiche, pulsionali dello spettatore al fine di riattivarne il potenziale critico eversivo. Ecco allora strutture narrative non lineari, frequenti pause, brani documentari, citazioni cinematografiche come "libere pause alla riflessione dello spettatore". Il suo film più famoso "Artisti sotto la tenda del circo: perplessi". Leone d'Oro alla mostra di Venezia nel 1968: l'artista Leni Peikert nell'impossibile realizzazione del proprio progetto di un circo fondato sullo sviluppo della fantasia invece che sull'esasperato aumento delle prestazioni. Il tutto segnato da ellissi, condensazioni, inserti, rimandi, commenti. Il film come collage narrativo e di proposta che deve farsi "nella mente dello spettatore".

Francois Truffaut, l'autore di "I 400 colpi", con il finale più bello della storia del cinema, l'evasione del ragazzo dall'istituto che si dirige verso il mare e cioè verso il sogno di una impossibile libertà. Per lui l'arte del cinema è sempre stata furto della vita. "I film di domani dovranno essere più individuali autobiografici. Come una confessione. I registi si esprimeranno in prima persona. Ciò piacerà per forza perché sarà autentico, nuovo". "La vita è materiale per l'arte" (Baudelaire) Luis Bunuel, il fascino discreto dell'anarchia, pirotecnie di un surrealista, tutta la sua opera è piena di ricchezza d'invenzioni per sollecitare l'inconscio dello spettatore.

John Cassavetes, attore e regista, impegnato con la moglie, l'attrice Gena Rowlands, all'esplorazione delle risorse del cinema indipendente, scava nel profondo. Cogliere la realtà al volo usando le tecniche dell'improvvisazione assolutamente libera e alle riprese effettuate con la macchina a mano: un cinema ai margini dell'establishment hollywoodiano impegnato a riportare sullo schermo la vita. "Dobbiamo superare l'attuale ossessione per la tecnica e le angolazioni della macchina da presa" Jean Luc Godard, è sua la rivoluzione linguistica che ha scardinato la sintassi cinematografica mettendo in crisi le certezze del cinema hollywoodiano "Gennaio 1995, centenario di un cinema che è stato ucciso dal denaro"…

Pur nelle loro profonde differenze produttive, affabulative o poetiche, sono autori che con i loro film hanno contributo ad alimentare la fiamma libertaria affinché la "santa puttana del cinema" (Rainer Werner Fasbinder) sia sempre luogo d'incontro, di discussione, di transito radicale della vita quotidiana. Sono autori che hanno contributo a liberare la testa dall'organizzazione mercantile dei bisogni e ad accendere il sogno irriverente verso la terra della libertà e della gioia che si chiama Utopia

Siamo contro il cinema mercantile e i suoi produttori che impongono simulacri di cinema, creano fenomeni da baraccone e suoi replicanti, per scemenze da domenica pomeriggio per un pubblico cinetelevisivo sempre più ritardato e rintronato dalla televisione con i suoi quiz e i suoi film da prima serata, zeppi di "consigli per gli acquisti".

Il cinema ruffiano, narcisistico e antipatico (Nanni Moretti) e il cinema del nulla (Pieraccioni, Troisi, Vanzina, Parenti..); l'abilità promozionale televisiva dei produttori e il successo di pubblico e di critica che ne deriva, non potrà mai essere condiviso del nostro mondo.
Bisogna farsene una ragione, non saranno mai i rendiconti della SIAE a sancire la bellezza di un film. Crediamo nella potenza del cinema d'arte rispetto al triviale americanismo e provincialismo del cinema di consumo.

La nostra è un'epoca di compromessi, di mezze misure, di male minore. I visionari vengono derisi, disprezzati e sopportati. Fanno colore, alcune volte divertono. Se poi, fanno guadagnare, sono dei geni. Gli uomini pratici governano la nostra vita.

Siamo per una riscoperta e potenziamento dei Cineclub, luogo d'incontro ove sperimentale il proprio essere e attraverso di lui, le sue modalità d'espressione: immagine, musica, arte, poesia, colore, oggetti in rapida evoluzione per superare il quotidiano e inoltrarci nel più insolito mondo conturbante delle emozioni, dove tutto diventa possibile, in assoluta libertà.